quell’estate che mio fratello ci ha detto che voleva fare lo stuntman

Raccontare della terribile ed impegnativa medicazione che è stata necessaria per ¥ prima delle ferie mi ha fatto tornare in mente l’estate in cui mio fratello ha cercato di uccidersi, o almeno sfracellarsi, più volte in meno di 3 mesi.
Mio fratello ha 10 anni meno di me, ed è sempre stato super vivace.
Mia mamma ha sempre sostenuto che se avesse avuto noi 4 (femmine) tutte insieme, non avrebbe faticato tanto quanto ha dovuto fare con lui (l’ultimo) da solo. Immagino si riferisse alla fatica di tenerlo in vita!

Giusto per spiegarmi meglio, quando era piccolino, più o meno l’età in cui si muovono i primi passi, ha tentato più volte l’evasione dal box infilando gli alluci dei piedi nei buchini della rete (prima i box avevano dei buchini più grandi di adesso, negli ultimi che ho visto questo tipo di evasione è fortunatamente impossibile) e scalando le pareti, lanciandosi quindi coraggiosamente nel vuoto una volta raggiunto il bordo (dopo i primi bernoccoli è diventata usanza mettere il box al centro di una distesa di cuscini).
Sempre nello stesso periodo mi è saltato via dalle braccia esprimendosi in un fantastico volo d’angelo. Io ero in piedi, con il suo sedere sulla mia pancia, un mio braccio sotto le sue gambe e l’altro intorno la sua vita, e lui ha pensato bene di puntare i piedi sulle mie gambe e “sgusciare fuori” dal mio abbraccio, finendo di testa sul mobile della televisione (prendendo lo spigolo tra l’altro). È stato praticamente impossibile frenare il suo tuffo…
La stupidità che ha dimostrato negli anni seguenti è probabilmente frutto di queste prime botte in testa.

L’estate in questione è quella in cui aveva circa 13 anni.
Casa dei miei è una villa in campagna con un giardino in dislivello. Io avevo appena parcheggiato, e salendo verso casa ho visto che lui scendeva dalla direzione opposta alla mia, portando la bici a mano.
Ecco il primo indizio. Per mio fratello la normalità era andare in bici bendato, con un piede che struscia a terra, e magari un gatto nei pantaloni.. Insomma, dev’essere il più pericoloso possibile! Portare la bici “a mano” non era mai stata un’ipotesi valida.
In ogni caso, ci siamo incontrati in cucina e abbiamo iniziato una chiacchierata abbastanza metafisica (durante la conversazione sono entrati in cucina in ordine sparso, una mia sorella e poi mio padre):
Ciao Nano (ho iniziato a chiamare mio fratello Nano da quando è diventato più alto di me)
Ciao… Hai visto la mia bicicletta?
– ..? Sarà qui fuori, ti ho visto che arrivavi dalla pineta (n.d.a. La pineta è la parte alta del giardino dei miei, dove c’erano ben 4 pini. Da qui la presuntuosa definizione familiare)
Si strofina la spalla, ha una faccia strana e confusa.
Mi fa male qui, mi sento strano. Che ho sulla spalla?
Effettivamente ha la spalla tutta graffiata e rossa.
Nano, ma sei caduto?
E qui poverino si è proprio spaventato, perchè ha realizzato che non se lo ricordava.
Questo è il momento epico, la frase che gli ricordiamo in continuazione ancora oggi. Con una faccia super confusa mi guarda e mi chiede:
ma io qui come ci sono arrivato?

Ora la racconto ridendo, ma quel giorno è stato tutto abbastanza impegnativo. Io ho abbastanza sangue freddo, mia sorella meno. Appena ha visto la confusione di mio fratello ha iniziato a piangere – la faccia che ha fatto il Nano guardandola piangere era lo specchio perfetto del “non ci sto capendo nulla, ma secondo me sta succedendo qualcosa di grave”.
Mio padre invece ha affrontato la cosa nel suo solito modo, insultandolo e dicendogli che era il solito scemo che combinava casini (magari aveva anche ragione, ma non era certo quello il momento giusto per affrontare la questione).

Ho spedito mio padre alla stazione a prendere mia mamma che stava tornando da lavoro, e mia sorella dagli amici di mio fratello con cui lui passava tutti i pomeriggi, a capire se sapevano cosa fosse successo.
Poi ho preso mio fratello, gli ho schiaffato sulla testa (dove avevo scoperto un enorme bernoccolo) una busta di piselli surgelati – perfetti in questi casi, perchè la loro forma a minipalline è perfettamente ergonomica con qualunque parte del corpo eventualmente tumefatta – e l’ho caricato in macchina in direzione pronto soccorso.
FunFact: In macchina il Nano continuava a spostare i piselli dalla testa alla spalla che gli bruciava e io continuavo a spostarglieli sulla testa.

Arrivati al PS la fase di accettazione si è svolta più o meno in questo modo:
– Salve, mio fratello è caduto e ha dei vuoti di memoria.
– Ok, lo ricoveriamo!

Hanno dovuto cercare un reparto pediatrico con letti da aduto visto che era già sfiorava il metro e ottanta.
Alla fine la questione non è stata nulla di più che una lieve commozione celebrale.
Col tempo abbiamo anche scoperto come era caduto mentre era sulla strada di campagna che costeggia casa dei miei, insieme agli amici.
Avete presente quando guardando il giro d’Italia in bicicletta, i ciclisti in salita pedalano buttando il sedere prima da un lato e poi dall’altro della bici? Ecco. Mio fratello ha scoperto che quel movimento lì, funziona solo se sei già in movimento: se provi a buttare il culo su un lato della bici in partenza, oltre al culo poi “cade” da quel lato anche tutto il resto.

Come se questa esperienza non fosse stata abbastanza, quell’estate al pronto soccorso ci siamo stati anche altre volte.
Una perchè era a casa di un suo amico e per sfuggire da una vespa ha fatto 2-3 passi all’indietro finendo nella piscina. Vuota.
Una perchè non so come (molte delle avventure di mio fratello hanno ancora oggi origini misteriose) si è tagliato una fetta di gamba (esattamente come vi immaginate di tagliare la famosa “fetta di culo”, ma sulla parte davanti del polpaccio). Io ero al computer e lui è venuto da me dicendomi:
– a Cle’, mi sa che me so fatto male…
– Ok. Fammi vedere.
Tira su il pantalone, e vedo la fettina di polpaccio lì appesa.
– Bene, mi metto le scarpe e andiamo al pronto soccorso
– Ah. Ma non puoi fare tu qualcosa? (il “fai qualcosa” c’è sempre stato… È probabilmente un grido atavico che fa parte del bagaglio genetico degli esseri umani maschili, tutto appallottolato nel loro distintivo cromosoma Ipsilon)
– No. Direi proprio di no.

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